La mia storia
inizia a Olevano Romano, in una vigna circondata dai boschi. Sin da bambino, ho
vissuto la campagna come una distesa di filari dove ogni singola zolla era
ricoperta da vigneti. L’azienda della mia famiglia si estendeva per quasi 5
ettari, tutti vitati ad alberello…
Tanta, la fatica in vigna! Solo lavorazioni manuali, ripetute
all’infinito, somministrate vite per vite. Potatura, scacchiatura, legatura… Sotto
il sole cocente e al gelo dell’inverno vedevo tra i filari i profili dei miei
genitori, con la pelle bruciata dal sole o sferzata dal vento pungente, in un silenzio
surreale rotto solo dal belare delle greggi attorno al pastore.
Spesso, all’alba,
andavo a trovarlo con un fiasco di Cesanese rosso sotto braccio, mi scaldavo al
suo fuoco, mangiavo qualcosa dal pentolone, barattando il vino con le ricotte. Vivevo nella campagna e con la campagna.
Ero felice mentre seguivo i miei genitori, ne ascoltavo distrattamente le lezioni
mentre “spulciavano” le viti con mani sapienti, cacciavo insetti, scappavo dalle
bisce… ma avvertivo anche la malinconia, il silenzio e la fatica di quel
lavoro. Ho ricordi nitidi di me a 7 anni, in realtà più attratto dall’eco dei
canti provenienti dalla vallata che rompevano quel silenzio.
Oggi mio padre è
morto, mia madre è anziana, il pastore era già al crepuscolo allora. Torno in
campagna e mi guardo intorno, constatando che siamo rimasti in pochi a
coltivare quei vigneti. Le vigne di allora si sono spente assieme ai loro padroni
che, nonostante tutto l’amore e la passione, non sono riusciti a tramandare ai
figli anche quella cultura e quella scelta di vita.
Ma io ci sono, e
come me pochi altri, e con l’amore di un tempo continuiamo a produrre il
Cesanese di Olevano Romano con l’impegno di sempre.
La nostra azienda
si trova nella Valle dei Laghi: un territorio meraviglioso nel cuore del
Trentino Alto Adige, al crocevia tra il Lago di Garda e le Dolomiti di Brenta,
patrimonio UNESCO. Qui, la nostra famiglia lavora la vigna dal 1852 nel
rispetto della natura e delle vocazioni locali, per produrre vini che siano l’espressione
più autentica di questa terra.
I contadini sanno
che il bene più prezioso è la terra, da rispettare e preservare per i nostri
figli così come ci è stata consegnata dai nostri padri. Per questo, da sempre
abbiamo scelto metodi di coltivazione
biologici e poi biodinamici, riducendo a zero l’utilizzo di prodotti
chimici e ricercando il massimo equilibrio tra la vigna, il suolo e l’ambiente
circostante.
In questa valle magica, da sempre culla di una viticoltura di qualità, la tradizione è un’energia silenziosa che dà forza ai vignaioli di generazione in generazione. E nella nostra moderna cantina c’è tutto il pensiero dei nostri padri che la vollero così, consapevoli che il lavoro del vignaiolo si muove fra tradizione e innovazione.
Siamo nati in campagna, fra le vigne e gli alberi da frutto. Siamo cresciuti a Pergolese all’interno di una storia contadina secolare: una storia di lavoro e fatica, ma anche di amore per un territorio meraviglioso e di passione per un mestiere nobile e antico come quello del vignaiolo.
Facciamo vino da
oltre trent’anni, ma viviamo ogni
vendemmia con l’emozione di ragazzini.
Abbiamo la fortuna di vivere in un territorio speciale, dove la vite ha trovato il suo habitat ideale: noi dobbiamo essere in grado di accompagnarla nella sua crescita, stagione dopo stagione, fino al momento della vendemmia, un rito collettivo che coinvolge tutta la famiglia e che ripaga della fatica di un anno di lavoro.
Sembra che i diversi tipi di suolo, per la coltivazione della vite, siano solo un’ossessione di sommelier e addetti ai lavori. Invece è una componente chiave del terroir. Ma davvero il tema non fa breccia nel cuore degli appassionati di vino? Ci proviamo, con una guida semplice e completa.
Come si fa a raccontare il fascino dei diversi suoli, che giocano un ruolo di protagonisti e determinano le qualità del vino che ci troviamo nel bicchiere?
1. Partiamo da qui: come si comporta la vite?
La vite è molto esigente con il clima, ma ha un’adattabilità straordinaria ai diversi tipi di suoli. Detto questo, ha le sue preferenze anche per il terreno.
2. Quali sono i
suoli meno indicati per la coltivazione della vite?
La vite non ama i suoli fertili, che danno vini poco fini e scarsamente inclini all’invecchiamento.
E poi dà
risultati meno buoni nei suoli soffici, umidi e salati (e qui emergono ricordi
liceali di Ulisse che cerca di farsi passare per pazzo gettando sale sul
campo).
3. Quali sono i
suoli migliori per la coltivazione della vite?
I suoli poveri e ben drenati sono i migliori per il vino. Il concetto è: meno acqua, più concentrazione di sapori nell’uva e nel bicchiere. Un esempio? I suoli chiamati “Grave”, che sono ciottolosi e determinano quindi una povertà di acqua per la vite permettono di contenere la crescita dell’uva e quindi di concentrare zuccheri e aromi.
E poi le zone collinari sono ottime per la viticoltura di qualità. Per varie ragioni, qui ci interessa l’ottimo drenaggio dovuto alla pendenza del terreno.
4. Lo stesso
vitigno dà risultati diversi in base ai vari suoli?
Sì, in terreni diversi lo stesso vitigno dà vini diversi. Si pensi solo al Nebbiolo, al quale abbiamo dedicato una selezione disegnata dal sommelier Nicola Bonera. Abbiamo scoperto il Nebbiolo delle Langhe, mentre altri vini originano dalla stessa uva nel vercellese (Gattinara e Bramaterra), nel biellese (Lessona), nel novarese (Fara, Sizzano, Ghemme), nel torinese (Carema), in Valle d’Aosta (Donnaz e l’Arnad-Monjovet), fino al Valtellina Superiore con le sue vigne eroiche.
5. Le diverse uve
hanno preferenze di suolo?
Alcuni vitigni si adattano moltissimo ai diversi suoli, ma la maggior parte in alcune specifiche condizioni dà il meglio di sé. Ecco alcuni esempi:
L’Albana predilige terreni collinari,
argillosi, di medio-bassa fertilità.
L’Aleatico ama terreni collinari e
sciolti.
L’Arneis predilige suoli leggeri
(sabbiosi).
La Barbera si esprime bene in terreni
argillosi, di media o scarsa fertilità.
Il Cabernet franc ama i suoli collinari
argillosi, ciottolosi.
Il Cabernet sauvignon predilige terreni argillogi
non molto fertili.
La Corvina predilige terreni alluvionali.
Il Carmenère ama i terreni sciolti, con
poca argilla, ciottolosi.
La Durella ama suoli calcareo-argilloso,
in collina.
L’Erbaluce cresce in terreni di sabbia
argillosa e ciottoli.
La Freisa predilige terreni calcarei.
La Garganega predilige terreni fertili e
sciolti.
Il Grechetto di Orvieto predilige terreni
collinari, di media fertilità e argillosi.
Il Gewürztraminer si esprime al meglio in
suoli basaltici.
Il Grignolino dà il meglio di sé su suoli
asciutti e sabbiosi, con tessitura sottile, a non meno di 300 metri di
altitudine.
Il Groppello ama terreni sciolti, in collina
non oltre i 300 metri, ben esposti.
Il vitigno Marsanne predilige terreni non troppo
ricchi e umidi.
La Malvasia nera predilige terreni di medio
impasto, anche fertili, non eccessivamente calcarei.
La Malvasia di Sardegna cresce bene in
terreni calcareo-silicei.
Il vitigno Monica sta bene su suoli
calcareo-silicei o calcareo-argillosi, non umidi e fertili.
Il Montepulciano ama terreni di medio
impasto, profondi, ben esposti.
Il Moscato bianco predilige il suolo di
marna calcarea.
Il Moscato di Scanzo ama suoli magri e
ricchi di scheletro.
Il Müller Thurgau predilige terreni
collinari, non troppo siccitosi, fertili e non calcarei.
Il Negroamaro preferisce terreni
calcareo-argillosi.
Il Pinot bianco predilige terreni con
bassa quantità di calcare attivo.
Il Pinot nero predilige suoli di scarsa fertilità,
calcarei o argilloso-calcarei.
Il Raboso del Piave predilige terreni
alluvionali o sassoso-alluvionali.
Il Raboso veronese predilige suoli
ciottolosi, alluvionali, sabbioso-limosi, in pianura.
La Ribolla gialla predilige zone
collinari, scarsamente fertili.
Il Riesling ama l’ardesia (una roccia dura
e scura che cattura il calore).
Il Sylvaner verde ama i terreni acidi,
leggeri e ciottolosi.
Il Teroldego ama i terreni molto drenanti.
Il Torbato predilige terreni
siliceo-argillosi.
Il Trebbiano di Abruzzo predilige terreni collinari,
argillosi.
Il Trebbiano romagnolo predilige terreni
freschi, fertili, di limitata siccità estiva.
I terreni
preferiti del Traminer aromatico
sono quelli con buona dotazione idrica e minerale.
Il Verdicchio si esprime bene in terreni calcareo-argillosi.
Il Verduzzo friulano predilige terreni collinari
ben esposti, scarsamente fertili.
La Vernaccia di Oristano predilige terreni
alluvionali, di buona fertilità.
Anche per questa
ragione, i disciplinari (cioè le regole che definiscono come si debbano fare i
vini DOC e DOCG) precisano la natura dei suoli necessaria per far rientrare il
vino all’interno della denominazione. Alcuni esempi:
Per Asti e Moscato d’Asti il suolo deve essere calcareo o calcareo-argilloso.
Per Barolo e Barbaresco il suolo deve essere argilloso-calcareo.
Il Chianti richiede substrati arenacei,
calcareo-marnosi, da scisti-argillosi e da sabbia.
Il Franciacorta richiede suoli sciolti,
ciottolosi e ghiaiosi.
Il Valtellina Superiore richiede un suolo
declive e breccioso.
6. Altre
curiosità sui suoli
I suoli sabbiosi non sono attaccati dalla fillossera, così come quelli tufacei di origine vulcanica.
Un suolo sabbioso, nella denominazione DOC Bosco Eliceo
La tipologia di suolo si interseca con l’esposizione delle vigne: l’esposizione più adatta è quella che consente buon soleggiamento e luminosità (sud o sud ovest).
Ma per andare più a fondo dei vari suoli, sono 3 gli aspetti chiave: chimica, fisica e storia geologica. Ancora ricordi liceali…
1️⃣CHIMICA
Qual è la
componente più diffusa nei terreni vitati?
Il calcare (carbonato di calcio) è
praticamente in tutti i suoli. Seguono marne, scisti e argille.
In che modo la tipologia di suolo influenza il vino?
🍇Un suolo calcareo-marnoso tende a offrire uve dai profumi intensi, buona struttura, ricchezza di alcol e grado zuccherino, poca acidità.
🍇Un suolo calcareo-argilloso è più propenso alla coltivazione uve a bacca nera, dà vini di colore intenso, ricchi di corpo, complessità, acidità e longevità. Danno vini di grande qualità e sono la maggior parte in Italia.
🍇Un suolo calcareo-sabbioso regala vini delicati e leggeri, con profumi fini, buona acidità, piacevoli ma non sempre predisposti all’invecchiamento (abbiamo dedicato una selezione a questo tema, creata dal sommelier Luisito Perrazzo).
🍇Ottimi sono anche i terreni marnoso-ferruginosi, cioè le terre rosse.
🍇Dai suoli acidi (pH basso) si ottengono vini sapidi e di buona freschezza, non di grande struttura. Quanto ai suoli basici (pH alto, superiore a 7), sono la maggioranza.
2️⃣FISICA
Cos’è la tessitura del suolo?
È un altro fattore importante, questa volta fisico, che indica la granulometria delle particelle di suolo.
Dalle più grandi alle più piccole abbiamo: sabbia, limo, argilla (che insieme formano la “terra fine”), insieme a particelle di diametro superiore a 2 millimetri, nel loro insieme chiamate scheletro.
Come fa, la tessitura del suolo, a influenzare la viticoltura?
🍇La prevalenza assoluta delle particelle più grosse (sabbia) può rendere il suolo troppo sciolto e quindi non consentire alla vite di trattenere i minerali. Ma se le percentuali sono bilanciate, attorno alla sabbia si dispongono le altre particelle.
🍇La prevalenza delle particelle più piccole (argilla) favorisce la compattezza del suolo e assorbe l’acqua, rendendo difficile il drenaggio. Anche qui dipende dalle percentuali: se l’argilla non è troppo abbondante, trattiene i nutrienti ma non impedisce l’ossigenazione delle radici.
🍇Il limo ha caratteristiche intermedie tra sabbia e argilla.
🍇Ciottoli e pietre non hanno funzioni agronomiche, ma rendono il terreno permeabile e la vita del vignaiolo difficile impedendo l’uso dei mezzi meccanici.
Qual è la migliore tessitura del suolo per la coltivazione della vite?
Il suolo in genere non ha una tessitura soltanto, ma diverse percentuali di particelle di sabbia, limo, argilla. Idealmente, i suoli migliori sono quelli di “medio impasto”.
3️⃣STORIA
La diversa origine
del suolo, in termini di storia geologica, influenza il vino?
Certo che sì. Vini che crescono su terreni che hanno una particolare storia geologica, nel bicchiere regalano sfumature aromatiche diverse.
Quali sono i
principali suoli quindi?
I suoli fluviali, alluvionali, di origine sedimentaria, glaciale. E i mitici terreni di origine vulcanica, che regalano al vino sfumature uniche, che abbiamo scoperto nella nostra selezione di febbraio.
https://www.sommelierwinebox.com/wp-content/uploads/2021/01/suolo.jpg11471390Sommelier Wine Boxhttps://www.sommelierwinebox.com/wp-content/uploads/2018/02/favicon.pngSommelier Wine Box2021-01-16 16:43:132021-03-02 15:28:21Perché il suolo è importante per il vino? Una guida completa
Che curi il
raffreddore o semplicemente riscaldi in una fredda giornata, il vin brulé è un
must dell’inverno. E chi ha detto che non si può fare e offrire anche a casa? Ecco
una breve storia la ricetta del vin brulé.
L’immagine del vin brulé si accompagna a quella degli amici, dei mercatini, delle vacanze invernali, della neve. Anche per questo il vin brulé si associa a sensazioni che scaldano il cuore.
Ecco una breve
storia e una ricetta, perché il vin brulé si può fare a casa, con tanti
ingredienti quanti la fantasia lo consente.
Cos’è il vin
brulé?
È una bevanda
calda a base di vino, speziata e aromatizzata. Viene offerto in inverno per far
fronte al freddo.
Da dove deriva il
nome vin brulé?
Vin brulé deriva dal francese Ça brûle, che significa “Brucia”. Oggi, in Francia, il vin brulé si chiama vin chaud, in Germania Glühwein, in UK e Stati Uniti mulled o spiced wine.
Quando si è
iniziato a bere il vin brulé?
Il vino
aromatizzato si beve sin dall’antichità, sicuramente dai Greci e dai Romani che
addolcivano il vino con zucchero e lo aromatizzavano con pepe, zafferano,
datteri, timo, altre erbe e spezie. E lo bevevano freddo.
In epoca moderna la tradizione di bere il vino aromatizzato – questa volta caldo – è molto nordica, tipica di paesi freddi come Svezia, Germania, Gran Bretagna.
Ovviamente si
beve tantissimo anche in Italia, soprattutto
al Nord e soprattutto in Trentino Alto Adige.
Il vin brulé è
alcolico?
Quanto è alcolico il vin brulé dipende dalla durata e dalla temperatura della cottura, durante la quale l’alcol tende a evaporare. Nella tradizione italiana il vin brulé perde la maggior parte della sua gradazione alcolica, mentre nella tradizione anglosassone (UK e US) il mulled wine viene corretto aggiungendo altro vino, brandy o altri alcolici.
Con quale vino si prepara il vin brulé?
La premessa è che la qualità del vino di partenza si riflette nel prodotto finale. La scelta della tipologia è chiaramente liberissima, e il territorio la fa da padrona. In Veneto il vin brulé si prepara con Cabernet Sauvignon ma molto anche con i bianchi Chardonnay, Sauvignon Blanc e Pinot Bianco. In Romagna viene molto usato il Sangiovese, il Lambrusco in Emilia. In Alto Adige sono molto adottati Schiava e Pinot Nero. In Piemonte: Nebbiolo o Barbera.
A cosa si abbina il vin brulé?
La regola aurea degli abbinamenti è sempre la stessa: il vino dolce si abbina ai dolci. Con il vin brulé abbinate pasticceria secca, dolci di qualunque tipo, anche a base di cioccolato, caldarroste…
Come si fa il vin
brulé?
Normalmente si usa il vino rosso ma è sempre possibile anche usare il vino bianco, specialmente adottato nell’area alpina.
🍷Mettere il vino a scaldare.
🌰Aggiungere zucchero di canna e spezie a piacere (bastoncini di cannella, chiodi di garofano, anice stellato, noce moscata, anice, cardamomo…).
🍊A piacere aggiungere scorze di limone, qualche spicchio di mandarino o di arancia, fette di mela, alloro… Il tutto idealmente di produzione biologica.
⏰Togliere dal fuoco dopo 5-10 minuti.
🔥Avvicinare un fiammifero al vino caldo, così la superficie comincerà a fiammeggiare permettendo l’evaporazione dell’alcol. E farà scena.
Filtrare e servire caldo.
https://www.sommelierwinebox.com/wp-content/uploads/2021/01/vin-brulé.jpg14002100Sommelier Wine Boxhttps://www.sommelierwinebox.com/wp-content/uploads/2018/02/favicon.pngSommelier Wine Box2021-01-15 23:22:212021-01-15 23:50:15Come si fa il vin brulé?
Da tempo immemorabile il vino fa parte dell’alimentazione quotidiana dell’uomo, così come della sua cultura e dei suoi riti. Oggi però il vino non è più considerato un alimento vero e proprio, come era per i nostri nonni. Ma ha comunque un apporto calorico. Ecco quindi una semplice guida per chi vuole avere consapevolezza di quante calorie ha un bicchiere della sua sacra bevanda.
In fondo, per sapere quante calorie ha un bicchiere di vino basta fare un semplice calcolo matematico. Per il quanto assumerne vale invece sempre il buon senso, mentre su come coniugare il piacere impareggiabile del vino con la linea e con la salute vi rimandiamo ai pezzi specifici.
Perché il vino apporta
calorie?
Il vino è una sostanza che deriva dalla fermentazione degli zuccheri presenti nell’uva, che diventano alcol. L’alcol sviluppa circa 7 calorie per grammo. Le calorie realizzate vengono disperse sotto forma di calore.
Il vino dà un apporto
di nutrienti?
No. Il vino non è in grado di soddisfare le funzioni dei nutrienti classici: apporta sali minerali ma vitamine e proteine sono presenti in scarsa quantità.
Come smaltire le calorie di un bicchiere di vino?
Se assunto in eccesso rispetto alle proprie esigenze energetiche, che variano tanto da persona a persona, l’effetto ingrassante del vino è inevitabile. La buona notizia è che basta mezz’ora di sport per smaltire un bicchiere di vino, 15 minuti nel caso del nuoto. Sport, non passeggiate.
Da cosa dipendono le calorie del vino?
Le calorie del vino dipendono dalla sua gradazione alcolica e, nel caso dei vini dolci anche dalla presenza dello zucchero.
Quante calorie ha
un bicchiere di vino?
PREMESSA:
La gradazione alcolica indicata in etichetta (% vol.) ci dice quanti millilitri di alcol ci sono in 100 millilitri di vino.
Facendo
riferimento a un bicchiere da 150 ml:
🍷un bicchiere di vino rosso secco (di grado alcolico 14-15% vol.) ha in media dalle 110 alle 120 Kcal;
🥂un bicchiere di vino secco bianco (di grado alcolico 11-12% vol.) ha in media dalle 90 alle 100 Kcal;
🥂un bicchiere di spumante (di grado alcolico 10-12% vol.) ha in media dalle 120 alle 150 Kcal, un po’ di più dei vini secchi perché può esserci un residuo zuccherino.
Come calcolare le calorie di un bicchiere di vino?
Per calcolare il contenuto di calorie di un bicchiere di vino nello specifico di una bottiglia basta applicare la regola dell’unità alcolica:
1. prendi la gradazione indicata in etichetta (volume %);
2. moltiplicala per 0,8 (che è il peso specifico dell’alcol);
3. moltiplica il risultato per 7 (che sono le kcal per grammo).
Il risultato dà il numero di calorie per 100 ml di vino. Attenzione: è meno di un bicchiere standard.
È un calcolo preciso al millimetro, questo?
No, perché non viene considerato il fruttosio dell’eventuale residuo zuccherino – che è vera e propria componente zuccherina nel caso dei vini dolci – ma dà già indicazioni importanti.
Questi, i numeri. Il resto è magia.
https://www.sommelierwinebox.com/wp-content/uploads/2021/01/bicchiere-calorie-vino.jpeg14072110Sommelier Wine Boxhttps://www.sommelierwinebox.com/wp-content/uploads/2018/02/favicon.pngSommelier Wine Box2021-01-15 00:16:122021-01-15 00:25:10Quante calorie ha un bicchiere di vino?
Decanter sì o
decanter no? Questo sembra essere uno dei problemi degli appassionati di vino,
divisi tra chi ama usare vistose ampolle e chi ne nega del tutto l’utilità. Ma
perché e quando è davvero indicato usare il decanter?
Di decanter abbiamo scritto in passato, parlando di vini rossi e di vini invecchiati. Ma il tema è di tale interesse, e anzi un vero terreno di discussione, che conviene fare chiarezza. Lo facciamo con 7 domande e altrettante semplici risposte, per capire quando usare il decanter e quando farne a meno.
1. Cosa significa
decanter?
Decantare deriva da “de canto” e, nell’accezione che qui ci interessa, significa “mettere da parte” (l’altra accezione è quella delle lodi sperticate, da riservare ai vini che toccano le corde più profonde 😉).
2. Cos’è il
decanter?
Il decanter è un contenitore in vetro (o in cristallo) con collo stretto e panciuto in basso.
3. A cosa serve
il decanter?
Serve innanzitutto a separare il vino da eventuali sedimenti.
Grazie alla sua forma, favorisce anche l’ossigenazione del vino, consentendo di eliminare l’anidride carbonica in eccesso.
In questo modo il vino si illimpidisce e sprigiona più velocemente i suoi profumi. Il tempo, qui, è davvero un concetto chiave: il decanter funziona anche da “acceleratore” della degustazione.
4. Quando si usa
il decanter?
L’uso è indicato
quando un vino presenta il tipico “fondo”.
Ciascuno decide se usarlo anche per ossigenare il vino – rigorosamente rosso –, se questo ne ha bisogno per esprimersi al meglio. Quel che conta è provare, per capire se la degustazione dà più o meno soddisfazione avendo fatto decantare il vino.
Quello che gli
esperti sconsigliano assolutamente è l’uso del decanter con i vini rossi molto
invecchiati, perché dopo molti anni senza ossigeno l’esposizione troppo rapida all’ossigeno
li può danneggiare irrimediabilmente.
5. Come si usa il
decanter?
Il vino va versato lentamente nel decanter, per tenere sotto controllo i fondi e per non farlo ossigenare troppo bruscamente. Per intenderci: il vino non deve gorgogliare mentre si versa.
6. I decanter
sono tutti uguali?
No, le forme sono diverse. Al netto delle forme più stravaganti, i decanter con il collo più ampio favoriscono molto l’ossigenazione e sono quindi indicati per i rossi più giovani, mentre i decanter con il collo stretto tendono a contenerla e sono quindi da preferire per vini più invecchiati.
7. Perché oggi il
decanter sembra passato di moda?
Il mondo del vino vive anche di contrasti e di tendenze in continuo cambiamento. Oggi gli esperti tendono a guardare al decanter come uno strumento che fa molta scena e del quale si è quasi dimenticata l’utilità che, come abbiamo visto, è quella di separare il vino dai depositi.
Dopo una grande passione per l’uso del decanter, la tendenza fra gli addetti ai lavori oggi è di ritenere che i benefici dell’ossigenazione si possano ottenere semplicemente aprendo la bottiglia qualche ora prima. Chiaramente nel caso di un vino strutturato e importante, invecchiato o che comunque tende ad avere bisogno di tempo per esprimersi.
E poi non dimentichiamo che l’atto di roteare il bicchiere, specialmente se questo è molto panciuto, consente non solo di arieggiare il vino, ma anche di seguire il vino in tutta la sua parabola espressiva, seguendo la sua intera evoluzione degli aromi. Senza fretta, perché il piacere del vino si giova anche della lentezza.
https://www.sommelierwinebox.com/wp-content/uploads/2021/01/decanter.jpg10701693Sommelier Wine Boxhttps://www.sommelierwinebox.com/wp-content/uploads/2018/02/favicon.pngSommelier Wine Box2021-01-13 00:25:442021-01-13 00:25:48Perché e quando si usa il decanter?
Il Teroldego è un vino che piace a tutti. Viene da un’uva a bacca rossa coltivata praticamente solo in Trentino. Il legame con il territorio è fortissimo: stiamo parlando di un’area molto piccola, in cui si realizzano le condizioni perfette per il vitigno. Ecco le caratteristiche del Teroldego, in 10 cose-da-sapere su uva e vino.
Il Teroldego è citato dalle fonti sin dal Trecento e non poteva mancare nella nostra selezione di gennaio, dedicata ai rossi trentini. Ecco una sua breve storia, in 10 semplici punti.
1. Storia del Teroldego
Esistono varie teorie sull’origine del Teroldego (potrebbe essere arrivato in Trentino dalla Valpolicella o dal Tirolo) ma al momento la cosa certa è che da qualche millennio ha trovato il suo territorio di elezione nella Piana Rotaliana (o Campo Rotaliano).
2. Genetica del Teroldego
Il Teroldego ha legami di parentela con vari altri vitigni, dovuti sia a incroci spontanei sia all’azione dell’uomo.
La genealogia del Teroldego è complessa e ancora non del tutto chiarita. Dagli studi sul suo DNA comunque, sappiamo che è imparentato con Lagrein, Marzemino, Syrah e molto probabilmente anche con il Pinot nero.
Inoltre, è stato utilizzato
da Rebo Rigotti nell’incrocio con il Merlot che ha dato origine al Rebo.
3. Il vitigno “bandiera” del Trentino
Il Teroldego è il vitigno a bacca nera più importante del Trentino. Matura tra la metà di settembre e gli inizi di ottobre e viene allevato con la classica pergola trentina.
4. L’habitat del
Teroldego
Il Teroldego dà risultati eccellenti solo nella Piana Rotaliana: un fazzoletto di pianura circondato dalle Dolomiti. Qui si realizzano delle condizioni perfette: le pareti rocciose delle montagne proteggono le viti dai venti freddi provenienti da Nord, mentre accumulano calore che rilasciano sui vigneti. Le brezze che scendono dalla Val di Non, invece, asciugano le piante, mantenendo sana la vegetazione.
5. I terreni
amati dal Teroldego
Ama i suoli ben drenati e ricchi di minerali: nella Piana il terreno è costituito dai sassi calcarei, granitici e porfirici portati a valle dal fiume Noce.
6. Il territorio
del Teroldego
Della Piana Rotaliana Mario Soldati scrive: “Qui sono tutti i vigneti del Teròldego. Qui, negli antichi centri abitati di Mezzocorona e Mezzolombardo, sono ancora le vecchie cantine dove si fa questo vino sublime”. Vino che ha “un sapore caratteristico, riconoscibile tra mille”.
E Luigi Veronelli, sempre a proposito della Piana Rotaliana dice: “Mi pareva impossibile che una piana potesse dare i vini assaggiati. Così composti. Coi loro sentori di mandorla, viola e lampone mi avevano inondato e fatto prigione. Quarant’anni. E del Teroldego sono ancor oggi prigioniero”.
7. Una micro storia sulla genetica del Teroldego
I vitigni
autoctoni coltivati in aree piccole, come è il caso del Teroldego, tendono ad
avere bassa variabilità fenotipica (cioè genetica). Grazie alla sua
produttività, poi, le selezioni fatte sul Teroldego soprattutto negli anni
Sessanta del secolo scorso avevano provocato una “semplificazione” genetica
della varietà. Tutto questo aveva ridotto il Teroldego a pochi cloni, i più produttivi.
Ma da qualche decennio i vignaioli si sono sempre più orientati sulla qualità, con
nuove selezioni e ricerche, oltre che grazie alla riscoperta delle vigne più
vecchie.
8. Teroldego
Rotaliano, DOC dal 1971
Perché il vino possa rivendicare la DOC, l’uva Teroldego – in purezza – deve essere coltivata in una parte specifica della Piana Rotaliana: a Mezzolombardo, Mezzocorona o a Grumo (frazione di San Michele all’Adige). Stiamo parlando di circa un centinaio di ettari.
9. Rosso o
Rosato?
Vitigno piuttosto produttivo, il Teroldego vinificato in rosso regala un vino dal profumo intenso fruttato, speziato; in bocca è di corpo, caldo, asciutto, con una piacevole e leggera nota amarognola.
Della versione rosata, Mario Soldati lascia una descrizione memorabile: “Ed esiste un’altra qualità Teròldego. Non migliore, ma, a mio giudizio, ancora più raffinato. Intendiamoci: sono le stesse uve, sempre di puro vitigno Teròldego: è differente la lavorazione. Sono vinificate “in bianco”. Immediatamente appena pigiato, il mosto è separato dalle bucce, e per sempre. Ne viene fuori quel delizioso Teròldego Rosato, che è uno dei pochi autentici rosé che conosco: e comprendo nella mia memoria tutti i rosé francesi che ho assaggiato. Ha, in fondo lo stesso sapore del Teròldego Granato: ma più vellutato, più leggero, più “irresistibile”: soprattutto, con più profumo”.
10. Come abbinare
il Teroldego
Da giovane si sposa molto bene con primi piatti a base di carne, mentre se invecchiato è perfetto con zuppe o secondi di carne come selvaggina o arrosti. Merita una menzione anche l’abbinamento con il risotto al Teroldego.
https://www.sommelierwinebox.com/wp-content/uploads/2021/01/Piana-Rotaliana.jpg10001500Sommelier Wine Boxhttps://www.sommelierwinebox.com/wp-content/uploads/2018/02/favicon.pngSommelier Wine Box2021-01-03 23:03:112021-01-04 20:51:3210 cose da sapere sul Teroldego
La nostra azienda agricola, la Michele Taliano, nasce nel 1930, con Domenico Taliano, ma ha radici molto più antiche e profonde.
Siamo a Montà d’Alba, nel territorio del Roero. La nostra è una famiglia di agricoltori da sempre, conosciuta in paese con il soprannome “Re Cit” che significa “piccoli re”. Siamo dediti ai campi e al lavoro della vigna da generazioni. Con mio nonno Domenico i vigneti erano tutti compresi all’interno del comune di Montà, in zona Bossola, Rolandi e Benna. Con l’ingresso di mio padre, verso la metà degli anni settanta, l’azienda cresce in direzione della Langa acquisendo alcune vigne e una cascina a Montersino, nella frazione San Rocco Seno d’Elvio di Alba, tra i comuni di Treiso e Barbaresco.
Quando sono entrato in azienda, alla metà anni Novanta, ho voluto rilanciarla, cambiando le metodologie di produzione e di affinamento del vino, puntando sempre più sulla qualità. Oggi me ne occupo assieme a mio fratello Ezio, enologo dell’azienda: la nostra proprietà si estende per 15 ettari e produciamo i vini del territorio, nei cui nomi di fantasia recuperiamo le tradizioni e il dialetto locali.
La nostra azienda
ha sede nel cuore della Langa, ad Alba, nella frazione di San Rocco Seno d’Elvio:
coltiviamo e vinifichiamo le nostre uve per produrre vini che siano la più
diretta espressione di un terroir unico.
La storia
dell’azienda agricola Adriano Marco e Vittorio inizia al principio del
Novecento, quando nostro nonno Giuseppe, mezzadro, assieme alla moglie Teresa
avvia la coltivazione della vite, un’attività portata poi avanti dal figlio
Aldo e dalla moglie Maddalena.
È la vendemmia
del 1994 quella in cui si imbottigliano i primi vini con l’etichetta Adriano. Siamo
noi nipoti Marco, Vittorio e Michela a portare avanti l’azienda. Oggi gli
ettari vitati sono 30, coltivati a Nebbiolo da Barbaresco, Barbera, Dolcetto,
Freisa, Sauvignon Blanc e Moscato Bianco.
La nostra famiglia è un esempio tipico di azienda agricola a conduzione familiare, profondamente radicata alla tradizione piemontese. Continuerà a restare tale perché nel “vivaio” stanno crescendo dei promettenti nipoti: Elisa, Andrea e Sofia.
Siamo vignaioli indipendenti e il nostro lavoro è anche riconosciuto dalla certificazione “The Green Experience”, tipica dei vini piemontesi. Perseguiamo, infatti, obiettivi di conservazione della biodiversità, valorizzazione dei vari metodi produttivi, ci prendiamo cura di un paesaggio che è inserito nella lista UNESCO come patrimonio dell’umanità e agiamo nel profondo rispetto verso il consumatore. Da 10 anni non utilizziamo più il diserbo chimico in vigna e un impianto fotovoltaico ci fornisce in modo pulito l’energia che ci serve in cantina.
Il suolo dove crescono le nostre vigne è formato da sedimenti marini, con marne e diversi tipi di sabbia. In particolare, i vigneti della zona di S. Rocco Seno d’Elvio crescono su sedimenti sabbiosi, quelli di Neive vedono maggiore presenza di argilla e limo. L’impostazione di tutti i nostri vigneti è quella del “girapoggio”: i filari seguono le curve di livello delle colline e ne attraversano orizzontalmente i versanti. In questo modo eliminiamo l’erosione collinare, con l’inerbimento. Potiamo le vigne a guyot, con l’obiettivo della massima qualità: per questo lasciamo sulla vite un unico tralcio fruttifero.
Il mondo dei
sommelier è fatto di competenza estrema, passione dilagante, tanti assaggi e infiniti
chilometri in auto, ma anche di tradizioni e storie di cui restano tracce nei
gesti, più o meno ampollosi. E negli strumenti. Il tastevin è uno di questi: ma
cos’è e a cosa serve?
A tutti sarà capitato di chiedersi cosa sia la collana che pende al collo dei sommelier nelle foto ufficiali… Anche molti sommelier della nostra squadra hanno scelto di mostrarsi con questo oggetto. Oggi rispondiamo alle domande sul tastevin, in 6 semplici punti.
1. Cosa significa
tastevin?
Letteralmente: assaggia vino.
2. Qual è la sua storia?
In passato la
degustazione tecnica del vino si svolgeva con il tastevin.
La sua origine si perde davvero nella notte dei tempi: gli scavi archeologici attestano l’uso di strumenti di questo tipo sin da oltre 3000 anni fa. Ne abbiamo un’antica rappresentazione: nella Casa dei Vettii, una delle più favolose e note di Pompei, vediamo degli amorini versarsi del vino in piccole coppe del tutto simili al tastevin moderno. Siamo nel I secolo dopo Cristo.
3. Perché il
tastevin ha questa forma?
La forma recupera quella dell’incavo della mano, cioè quel che si usa per abbeverarsi direttamente alla fonte.
4. Com’è fatto il
tastevin?
In argento, o in metallo argentato, il tastevin moderno può avere due forme, bordolese o borgognone. Ha un piccolo manico ma la particolarità risiede all’interno, nella variazione della superficie fra sporgenze e incavi.
5. Come si usa
tastevin?
VERSARE: dopo averlo tolto dalla catena, si versa il vino nel tastevin fino al livello indicato dalla bolla centrale.
RESPIRARE: le piccole perle in rilievo permettono il rapido arieggiamento del vino, favorendo l’esame olfattivo.
OSSERVARE: le 8 grandi perle consentono di valutare i vini rossi, mentre le nervature (sempre incavate e di forma allungata) permettono l’osservazione dei bianchi.
GUSTARE: l’analisi gustativa non differisce da quella effettuata con il bicchiere.
6. Perché i
sommelier in passato usavano il tastevin?
Perché l’analisi del vino è facilitata e resa veloce dal tastevin. Il gioco fra elementi concavi e convessi crea uno specchio che consente di illuminare il vino sotto ogni angolatura. L’esito è facilitato dal fatto che il vino si dispone su uno strato molto sottile. Chiaramente, il tastevin non consente di valutare il perlage degli spumanti.
Oggi il tastevin
è sostituito dal classico bicchiere, ma resta un simbolo della professione del sommelier
in tutto il mondo. È un piccolo pezzo di storia enologica di cui tenere traccia,
mentre si guarda al futuro.
https://www.sommelierwinebox.com/wp-content/uploads/2020/12/tastevin.jpg18633724Sommelier Wine Boxhttps://www.sommelierwinebox.com/wp-content/uploads/2018/02/favicon.pngSommelier Wine Box2020-12-29 11:12:382020-12-29 11:16:26Cos'è il tastevin?
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